martedì 29 dicembre 2009

La Regina delle Nevi


«Kai» gridò Gerda. «Finalmente ti ho trovato!» E gli gettò le braccia al collo. Ma Kai rimase impassibile. «Chi sei? Che ci fai qui? Vattene e non mi toccare.» Gerda non gli diede retta. Malgrado gli sguardi ostili continuò a stringerlo a sé e pianse lacrime di gioia.E mentre piangeva, le sue lacrime calde caddero negli occhi di Kai... e sciolsero il ghiaccio del suo cuore.
(tratto da: La regina delle nevi, di Hans Christian Andersen)

venerdì 25 dicembre 2009

Il Natale del Succhialimoni

Il Natale è una condensa di buoni sentimenti sull'occhio di vetro del Generale Inverno: i più ingenui giurerebbero sia una lacrima di commozione a rigare il volto del gelido vecchio, ma chi conosce il cuore degli uomini sa che è solo umidità che cola.
La bontà natalizia non è un dovere, è un obbligo: è un invasore barbaro che s'impone senza alternative dai televisori accesi per sedare i bambini, è una prepotenza a cui non ci si può ribellare senza rovinare lo spirito del giorno e divenire a nostra volta dei barbari sacrileghi.

Questo è il Natale del Succhialimoni.

MATTINO
Madre è sempre stata il centro di tutto. Forse in ogni famiglia valgono gli stessi equilibri: nella nostra, perfetta, era così. Madre era l'Affetto, Padre era la Regola. Così il risveglio ha ben poco di natalizio: un mattino qualunque ammantato d'imbarazzo, sentimenti taciuti, poco Affetto e troppa Regola. "Siamo già in ritardo." e colazione in pasticceria. Padre per la prima volta dice "Buon Natale", ma è rivolto alla cassiera. Quasi non mi infastidisco.

Nonna è in casa di riposo, perché è ormai difficile prendersi cura di lei. Non la vedo da mesi, forse un anno, comunque abbastanza da vergognarmene. "Buon Natale" le dico e lei "Che sorpresa". Dicono sragioni, confonda i ricordi, ma con me è lucidissima: "Sono sola. Di tre famiglie nessuna mi ha aperto la porta, dopo tutto quello che ho fatto. E adesso sono sola." Lo dice sottovoce, in veneto, con quella cantilena che io ho solo se mi arrabbio. Piange. La distraggo: ormai ho imparato a distrarre chi sa che l'unica novità di lì in avanti sarà morire. Zia la consola quasi fosse una bambina stupida: "Cosa piangi? Non sei contenta che sono venuti a trovarti?" Nonna inghiotte la sua lucidità e finge di crederci: cosa potrebbe fare altrimenti? Io vorrei urlare. Al momento di andar via la baciamo: è fragile come carta bruciata. "Padre, non le dai un bacio?" chiediamo. "Non ne ho l'abitudine" dice. E' tua madre e sta morendo, cazzo. Darei non so cosa per poter baciare ancora una volta la mia. Taccio perché non se lo merita.

MERIGGIO
Sono le 12.48. Parentado ha chiamato già due volte: alla terza rispondo io. "Dove siete? Noi siamo già al dolce" mi dicono ridendo. Siamo in ritardo di diciotto minuti. Diciotto. Il parentado non può aspettare per ingozzarsi. Io rispondo con l'immagine di mia nonna in lacrime stampata a fuoco nella memoria. Vorrei mandarli affanculo, ma sarei barbaro: così sorrido e rassicuro. Sorella ringhia e sputa i loro nomi.
Arriviamo a destinazione con venticinque minuti di ritardo: tre naufraghi senza Affetto ad una tavola di iene ridens. Padre è afflitto: io vorrei abbracciarlo. Nessuno può osare toccarlo, salvo noi Figli.
Poi inizia il fiero pasto.
Pietanza dopo pietanza, sfilano i soliti atteggiamenti: prima la parente egocentrica, che chiede attenzione su di sé, sul piatto che ha portato, sull'ultimo acquisto che ha fatto, sull'età che avanza ma che non la intacca, sul regalo che ha scelto più bello degli altri; poi la parente nevrotica, che pone domande d'obbligo salvo poi farsi distrarre dai figli e non interessarsi alla risposta; quindi i bambini indifferenti, insofferenti e insopportabili; infine la parente quasi acquisita, che piace a pochi, se non a nessuno; tutte persone che mi conoscono da sempre e che non sanno alcunché di me, se non il poco detto ad ogni Pasqua e ad ogni Natale.
E io mi chiedo perché continuo a venirci, anno dopo anno: forse per Zia, così uguale a Madre, così pratica da aver capito tutto prima ancora noi si arrivasse, così saggia da non proferir parola; o forse per altri membri del parentado, che da tempo hanno visto il Mulino Bianco sgretolarsi completamente e sanno riconoscere il significato di uno sguardo o il tono di una frase; o forse perché anch'io faccio parte di tutto questo e non riesco ad imbarbarirmi, a rovinare a tutti questo giorno svelandone l'ipocrisia. Non è facile prendersi certe responsabilità.

SERA
Sorella è raffreddata e provata dal pranzo parentale. Si è messa a letto. Io mi sdraio accanto a lei, sopra le coperte. I suoi capelli profumano di balsamo. Parlottiamo. Padre viene a dare un'occhiata e sorride.
Mi sento a casa e mi addormento. Domani per fortuna è il 26. Tornerò ad esser buono.


*Il Succhialimoni è una serpe in seno. E' tutto quello che penso e non vorrei dire. E' il Disprezzo che non so esprimere. E' acido, petulante, invidioso. Il Succhialimoni ha la pelle verde e i denti aguzzi. Ma, lo giuro, non sono io.

venerdì 27 novembre 2009

giovedì 12 novembre 2009

VW




MILANO - In un palazzo di Corso Venezia, in un giorno di Novembre, un po' troppa gente si accalca in attesa di entrare. Chissà dove. Chissà perché.

mercoledì 21 ottobre 2009

Il Freddo, il Cheto e il Parassita

Il Freddo è algido, elegante, quasi aristocratico. Di primo acchito pare visibile, ma lo sguardo non lo penetra, gli scivola addosso o lo attraversa senza coglierlo, fantasma. La sua presenza è dubbio, disagio; le sue ragioni spettri, sagome nella nebbia.
Il Freddo usa la luce di taglio, senza grigi: se si è ammessi alla sua luce tutto pare meraviglioso, perfetto, di una bellezza cristallina e tersa. Se si è ammessi alla sua luce tutto ha un senso prestabilito. Ma quando egli volge lo sguardo altrove, quando ti nega la sua luce, cala il buio intorno a te, un buio compatto e imperscrutabile, e in esso semplicemente scompari.

Il Cheto è rassicurante, caldo, inaspettatamente sensuale. E' un dejà vu, un volto già visto, una persona già conosciuta: è un'idea colta al volo, un giorno d'estate che apprezzi perché sai come finirà. La sua presenza è pacata, tranquilla, a tratti scontata.
Il Cheto emana una luce diffusa, sfumata: chiunque può goderne come un fuoco a cui scaldarsi durante le notti d'inverno. Il senso delle cose non è richiesto, è opinione, è superfluo. Il Cheto non ti lascia: sei tu ad allontanarti per primo, come dalla casa paterna. E come la casa paterna, ti rimane dentro, senza dolore.

Il Parassita è grigio, è una sensazione di spossatezza strisciante. E' un perché inespresso, un cattivo odore, una stonatura. Il Parassita è un abisso bisognoso di luce: è incapace di generarne e per sopravvivere si impossessa di quella del prossimo, lasciando in cambio il suo veleno, il suo umore malevolo. Il Parassita non ha un senso, se non quello che ruba agli altri.

Il Freddo, il Cheto e il Parassita hanno un nome. Il Succhialimoni* lo sa e tace.



*Il Succhialimoni è una serpe in seno. E' tutto quello che penso e non vorrei dire. E' il Disprezzo che non so esprimere. E' acido, petulante, invidioso. Il Succhialimoni ha la pelle verde e i denti aguzzi. Ma, lo giuro, non sono io
.


martedì 1 settembre 2009

Il segreto di Pandora

Una Falena batte le ali e le tue aspettative vanno in frantumi.

Zeus era adirato con Prometeo: quell'ingrato gli aveva sottratto il fuoco per donarlo agli uomini. Quei cavernicoli! Animali immondi! A Prometeo aveva già pensato, ma gli uomini meritavano di peggio.
Ordinò così ad Efesto di modellare un'immagine umana servendosi di acqua e argilla. Ordinò poi a tutti gli dei di coprire di doni questa nuova figura: Athena le donò candide vesti, sapienza e abilità nei lavori domestici; Afrodite le donò la civetteria; le Ore resero splendidi i suoi capelli; Ermes pose la malizia nel suo cuore e sulle sue labbra. E fu la prima donna, che per i tanti doni ricevuti si chiamò Pandora.
Il dono di Zeus a Pandora fu un bellissimo vaso.  Nel porgerlo a Pandora, Zeus le disse che quel vaso non avrebbe mai dovuto essere aperto, per nessun motivo. Non passò molto tempo, che la trappola di Zeus scattò. Pandora passava ore guardando quel vaso e chiedendosi cosa contenesse: un giorno non resistette, disubbidì all'ordine e lo aprì. La vendetta di Zeus era compiuta. Tutti i castighi all'umanità uscirono dal vaso e si sparsero nel mondo: la Morte, la Malattia, il Dolore. Pandora si affrettò a chiudere il vaso, ma era troppo tardi. Al suo interno era rimasta solo una piccola falena, Elpis, il castigo più sottile e insidioso fra quelli ideati da Zeus: l'Aspettativa. Pandora la guardò, con le lacrime agli occhi: sarebbe stata punita per la sua avventatezza. Tutti avrebbero conosciuto la sua colpa. O forse no? Fissò l'Aspettativa, la afferrò tra l'indice e il pollice e le strappò le ali. Poi si ravvivò i capelli, si rassettò la veste e iniziò a spargere in giro la voce di aver donato al mondo la Speranza".

La mia piccola Regina Bianca mi ha fatto un dono.
Ha impugnato un paio di forbici ed ha accorciato il lacciuolo di un suo pendaglio: ha poi annodato quel laccio al mio polso. Ad un'estremità, una goccia d'argento reca la scritta: PANDORA.

"Ti porterà fortuna" mi ha detto.
"Contro le aspettative" ho pensato.

Mailand mi attende severa.

sabato 22 agosto 2009

Brindisi della Scacchiera



La Sorte trama e l'Arbitrio ordisce:
insieme tessono l'umana vita,
insieme giocano quella partita
per cui ciascuno s'eleva o patisce.

La Sorte decreta ove si nasce
da quale ventre, in quale casata;
Arbitrio giudica se la via data
è giusta per sé o ad altro si ambisce.

Ordunque nel far di questo duello
il Gioco soffiommi di già tre pezzi;
lesto risposi quei pochi io apprezzi
sparsi riunendo in un fido drappello.

Ribelle e fiera, di sangue sorella,
riparo contro i rovesci del Fato,
teca dell'ultimo materno fiato,
pugnace, tenera, fragile, bella:

lei che non ama la rosea Verona,
lei appena donna, lei ancora bambina,
lei dell'Est(remo) Bianca Regina
della Casata fa sua la corona.

Primo, lontano, d'insetti signore,
occhio ed orecchio dei miei accadimenti,
fonte e motore di gioie e tormenti,
di sete e fame, di sogni e d'Amore:

lui ch'è del Cielo e d'Averno custode,
(Lu)i Bianca Torre nell'Ovest arcano,
lui così semplice nodo gordiano
d'ogni Secondo è misura di lode.

Valente forbice, lingua affilata,
di cerimonie sì tanto maestro
quanto in affetti ed amori maldestro;
ospite ottimo, tosca parlata.

Ei che i doveri costringon a brillare
quand'anche in animo ha nuvole nere,
ei saldo appoggio, mio Bianco Alfiere,
i dubbi scaccia e la Via sa mostrare.

Figlio di Lupa di sangue australe,
caro Virgilio nel limbo romano,
per passo e gesto, per sguardo e mano
eccelso gusto e stile magistrale.

Ei dei mondani salotti è l'esperto
aguzzo l'occhio e l'orecchio fine
ei ch'è la Nera tra le Regine
stimola il passo quand'esita incerto.

Oscuri lampi e rumori muti
empiono i giorni di-colui-che-fu-Re:
subìto lo scacco ora è in cerca di sé
tra selve di dubbi e umori irsuti.

D'intrecci, fate e di mondi creatore,
lingua d'ithildin, sapiente profeta,
voglian le stelle che giunto alla meta
torni di Felsina il Bianco Signore.

Due son le luci del Regno Fatato
due sono i Troni di questa Scacchiera:
l'uno è quel Bianco che in ombra si cela
l'altro è quel Nero di luce ammantato.

Mano di mithril, scimmia nel cuore,
nato nel giorno d'inverno il solstizio,
scisso nei compiti tra Arte ed Offizio,
di trame e sorprese regista ed attore.

Un sì vasto Regno, il Nero Sovrano,
regge benevolo in punta di dita
segnando a tratti di china e matita
qual sia la Storia, il Re o il Capitano.

Non solo questi presenziano a Corte,
non solo questi conoscono il gioco:
altri si muovono, chi molto, chi poco
e del mio cuore han schiuse le porte.

Questi non credano, mai venga detto,
d'esser da meno di chi si cantò.
Tutto ha un senso, o forse no,
non certo dare misura all'affetto.

Un solo scacco or manca all'appello
un pezzo errante su questa Scacchiera
uso a trovarsi in terra straniera
in nuovo Reame, Salotto o Castello.

Due passi in avanti, uno di lato
il Cavallo Nero o Bianco che sia
ha un senso innato di diplomazia
e questa notte ne è il risultato.

L'Arbitrio ordisca, la Sorte trami
Brindo e vi dico quello che so
Che nella vita sognare si può
se accanto a te ci son quelli che ami.

OzdegliSmeraldi



domenica 21 giugno 2009

La mancanza

C'è una poesia nel tempio, incisa nella pietra, intitolata "la mancanza".
Ci sono solo tre parole, ma il poeta le ha cancellate: perché la mancanza non si può leggere, si può solo avvertire.


(cit. dal film "Memorie di una Geisha" di Rob Marshall)

Mi manca. Sempre.

domenica 14 giugno 2009

Risalendo


CONTRO VENTO
(Malika Ayane)

Gli occhi bruciano
Niente vedono,
Solo quello che c'è

Sogni, lacrime
Specchi, pozze limpide
Sai,
Trema in bilico
Tutto quello che c'è

Cambierà
Questa notte è per te
Tra le dita
solo tu passerai
Cambierà, verrà
un fulmine
e accenderà
Aria e vento
E si vedrà,
Schiarir
intorno a te

Tempo sbriciola
Giorni, sorsi piccoli
Vai, solo un passo e avrai
tutto quello che c'è

Cambierà
Ogni stanza è per te
dalle dita
negli angoli scenderai
Cambierà
Schiena dritta
contro il vento
E si vedrà,
Spioverà
intorno a te

sabato 30 maggio 2009

Il vento del Nord

Resto immobile alla fine di un pontile, i sensi tesi.
E' passato tanto tempo, forse troppo, e sul lago della mia esistenza sono riuscito a realizzare solo quest'esile passerella di assi sconnesse sulla quale ora attendo.
L'aria è immobile, pregna di umori quasi malsani, indizi insalubri di una decomposizione in atto: quasi fatico a respirare, avverto quell'asfissia ansiosa di chi abituato a correre è costretto in spazi angusti.
Poi lo sento: prima un odore nuovo, netto come una lama chirurgica in una ferita infetta, sorprende l'olfatto. Quindi una brezza tagliente soffia tesa e leggera dal basso, increspando l'acqua e pungendomi il viso.
Infine arriva: Aquilone, il vento del Nord. Soffia come ha già fatto in passato. Soffia e i miasmi si disperdono in un'aria ora tersa e cristallina.

Un quesito rimane sospeso: il cavallo muoverà ancora?

mercoledì 20 maggio 2009

mercoledì 6 maggio 2009

lunedì 4 maggio 2009

Epidermide

MONACO DI BAVIERA (Germania) - L'uomo e la macchina appartengono a mondi diversi: organico contro inorganico, istinto contro ingranaggio, coscienza contro software. Inevitabilmente questa distanza ha da sempre generato attrazione e l'attrazione ha portato alla contaminazione.

Oz ama le contaminazioni: la Perfezione annoia, un bianco immacolato è sempre uguale a se stesso, un genere musicale puro suona ridondante e una persona uguale a te in tutto è la fine di te stesso come individuo. Occorre sporcarsi e lasciarsi sporcare. Lo fece Pasifae con il Toro di Creta, lo fecero gli Aerosmith con i Run DMC, lo fece chi inventò il pace-maker: in tutti e tre i casi i risultati furono eclatanti.

BMW ha da poco presentato la sua nuova concept car, ovvero un'auto creata non per essere commercializzata, ma per mettere in discussione gli stereotipi vigenti nel mondo automotive. L'auto si chiama GINA (Geometry and function in N Adaptations) e il nome non è l'unico elemento di umanità di questa macchina: perché Gina ha una pelle.

lunedì 20 aprile 2009

Manifesto

"Oh. Ma con i versi si fa ben poco, quando li si scrive troppo presto.
Bisognerebbe aspettare e raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita e meglio una lunga vita, e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe poi a scrivere dieci righe che fossero buone. Poiché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno presto), sono esperienze.

Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose, si devono conoscere gli animali, si deve sentire come gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino. Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e a separazioni che si videro venire da lungi, a giorni d'infanzia che sono ancora inesplicati, ai genitori che eravamo costretti a mortificare quando ci porgevano una gioia e non la capivamo (era una gioia per gli altri), a malattie dell'infanzia che cominciavano in modo così strano con tante trasformazioni così profonde e gravi, a giorni in camere silenziose, raccolte, e a mattine sul mare, al mare, a mari, [...] e non basta ancora poter pensare a tutto ciò. Si devono avere ricordi di molte notti d'amore, nessuna uguale all'altra, di grida di partorienti, e di lievi bianche puerpeure addormentate che si rinchiudono. Ma anche presso i moribondi si deve essere stati, si deve essere rimasti con i morti nella camera con la finestra aperta e i rumori che giungono a folate.
E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti, e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino. Perché i ricordi di per se stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibile da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso."

(I quaderni di Malte Laurids Brigge - Rainer M. Rilke)

Citazione estesa. Alquanto direi.
Mi sono chiesto se fosse etico pubblicare un post dedicato esclusivamente alle parole di un altro. Credo lo sia, soprattutto quando si è certi di non poter esprimere meglio quel concetto.

Conosco persone che scrivono poesie e si dicono poeti, persone che scattano fotografie e si dicono fotografi, persone che stilano autobiografie e si dicono scrittori, persone che colorano una tela e si dicono pittori. Bambini che giocano ad essere qualcuno. Ciò mi meraviglia.

Io scrivo solo filastrocche.



venerdì 17 aprile 2009

Arpia


C'era una volta
una donna superba
di capricci mai sazia,
di carattere acerba.

Per il dì delle nozze
essa chiese all'amato
il vestito più ricco
fosse stato indossato.

A duemila pavoni
fu strappata la coda
fili d'oro e bottoni
ed un taglio alla moda.

Alla prova dell'abito
volle ancora di più
altri nove piumaggi
scarpe di karibu.

Dalla gente invidiare
ti vuoi far, bimba mia
sposa tu più non sei
pari invece un'arpia.

E perciò fu punita
un ventaccio soffiò
mille piume si alzarono
lei a terra crollò.

giovedì 16 aprile 2009

Mermaid, she sang.

EDIMBURGO (Scozia) - C'era una volta, in un paese molto lontano, una donna di nome Susan. Era una donna comune, tanto comune che a tratti svaniva sullo sfondo, come chi si allontana lentamente nella nebbia. Susan era una delle tante persone che nella vita non riescono ad essere altro che comparse: questo perché, alla sua nascita, solo poche Fate si erano presentate alla sua culla. Non la Bellezza, che le avrebbe offerto in dono un corpo sinuoso, un viso delicato e due occhi grandi. Non la Grazia, che le avrebbe infuso eleganza nei movimenti e gentilezza nella favella. Non la Fortuna, che le avrebbe evitato di rimanere disoccupata.

La Fata Giovinezza si era presentata un po' in ritardo, ma essa presenziava sempre a tutte le nascite e il suo dono era caduco: a 47 anni Susan aveva già dimenticato la sua visita.

Solo una Fata aveva fatto capolino alla festa: era una Fata capricciosa, che in molti inseguivano per ottenerne favori, ma che rimaneva spesso irraggiungibile. La Fata aveva osservato quel vuoto attorno alla culla, aveva scorto Giovinezza posarvi una rosa e andarsene e poi più nessuno. Nessun dono per quella bimba in fasce, se non un fiore che sfiorisce in fretta. Il cuore le si era riempito di indignazione: le sue colleghe frequentavano ormai solo una certa Alta Società, un'ambigua fattucchiera che irretiva con giochi di specchi, e i loro doni erano sempre meno generosi.

Pertanto, Meraviglia aveva deciso di far da madrina alla piccola Susan: si era strappata una squama dalla coda di sirena e invocando un potente incantesimo l'aveva conficcata nella gola della bimba. Al momento opportuno, la voce di Susan avrebbe stupito il mondo: quella sarebbe stata la sua bellezza, la sua grazia, la sua fortuna.

Quel momento è arrivato e Susan è emersa dalla nebbia.

(Nell'aprile 2009 Susan Boyle è la rivelazione del Britain's got Talent.)

domenica 5 aprile 2009

We're off to see the Wizard


Raccontare una fiaba con un vassoio di frutta? Oggi si può: un sentiero di pietre gialle, la Terra dei Succhialimoni, il rosso Regno dei Gingillini e la Città degli Smeraldi. Oz touch.

sabato 4 aprile 2009

Come bambini in gita

ROMA (Italia) - Chi vive a Roma e usa i mezzi avrà apprezzato la modernità di alcuni tram a rotaia, come l'8, che collega il Gianicolo a Largo Argentina attraversando Trastevere.
Mi piace prendere l'8: è pulito, funzionale, arioso ed ha un po' di quella magia che permeava gli autobus della mia infanzia, quelli su cui salivo le prime volte con gli occhi sgranati, ansioso di obliterare il biglietto quasi fosse un rito pagano.
La sensazione di tornare bambini l'8 te la regala anche concretamente: alcune sedute sono state progettate un po' troppo alte e le persone viaggiano così, con i piedi sospesi a mezz'aria o con le sole punte appoggiate. E non è raro sorprendere un'arzilla vecchietta o un distinto signore mentre dondolano i piedi lentamente l'un contro l'altro, come bambini in gita.

lunedì 30 marzo 2009

Gatto Stregatto



"Vorresti dirmi, di grazia, quale strada prendere per uscire di qui?".
"Dipende soprattutto da dove vuoi andare" disse il Gatto.
"Non m'importa molto..." disse Alice.
"Allora non importa che strada prendi!" disse il Gatto.
"...purché arrivi in qualche posto!" aggiunse Alice a mo' di spiegazione.
"Ah! Per questo stai tranquilla" disse il Gatto, "basta che non ti fermi prima".


(Alice nel Paese delle Meraviglie - Lewis Carroll)


Mi sento come una bustina da thé in una tazza troppo grande: ciò che sono e che ho sempre ritenuto di essere qui è diluito, inconsistente, incerto. Qui, in questa città. O forse ora, a quest'età. O forse semplicemente a causa di tutto quel che mi è successo. Opzioni che tetramente coincidono con questo buio vicolo cieco che ho imboccato credendo fosse il Sentiero.

Appena arrivato era tutto nuovo, tutto meraviglioso. La bellezza dorata di maggio esaltava la mia scelta, scaldava il mio cuore ad ogni passo e mi prometteva la soddisfazione di un lavoro ben fatto. C'è chi reagisce ad un amore finito tagliandosi i capelli: io avevo reagito a tre lutti cambiando città, lavoro, vita. Doveva andar bene, avrei fatto di tutto perché funzionasse. Avrei iniziato la mia nuova esistenza a testa bassa, umilmente e avrei dato me stesso per migliorare ogni giorno, per crescere e diventare l'uomo che sognavo di essere, che, nonostante tutto, voglio ancora essere.

Poi iniziai a capire quanto questo mondo fosse ingannevole: le parole avevano un peso diverso, qui, leggero e sfuggente; le persone indossavano maschere opportune ad ogni situazione e avevano esse stesse dimenticato quale fosse il loro vero volto; le opportunità c'erano, ma seguivano regole cui non potevo accedere. Provai più volte, mi entusiasmai all'idea, incassai la delusione e mi rimisi in piedi. Una, due, tre, dieci volte. Per un amore, per un lavoro, per un'opportunità. Mi arenai. Nella storia e nello spirito.

Aspetto. Come l'atleta lascia riposare i muscoli tra uno sforzo e il successivo, così io ho esaurito il mio fuoco nel tentativo di riuscire: devo recuperare ciò che ho vanamente bruciato. E mi chiedo come: come esco da qui?



domenica 29 marzo 2009

We can be heroes.

NAPOLI (Italia) - Ancora Napoli, ancora eroi. Camminano sulle acque, resuscitano i morti, moltiplicano il cibo e trasformano l'acqua in vino: in più, accorrono in aiuto di chi li invoca, confortano, guariscono, proteggono dal male.

Sicuramente provocatoria, l'opera di Roxy Inthebox Pow! -ers è geniale: dribblando con intelligenza la banale accusa di arte dissacratoria (tra l'altro ipocrita perché l'adorazione di statue in gesso sarebbe idolatria), si coglie il testo sotteso: la divinità come superuomo - supra hominem - rivolto al bene.

E fateve 'na risata!

(opera esposta presso Emergecy Room - Palazzo delle Arti Napoli - dal 13/03 al 20/04 2009)

Daily Bugle

NAPOLI (Italia) - Da oggi il vandalismo ha un nemico in più: Entomo, l'Uomo Insetto, un nuovo supereroe in carne, ossa e calzamaglia. Entomo è un giovane di 31 anni che ha deciso di salvare il mondo dei napoletani dalla microcriminalità e dal degrado ambientale. Per attuare la sua missione Entomo perlustra le strade di Napoli sventando piccoli crimini o segnalando situazioni di degrado alle forze dell'ordine.
Il principale potere di Entomo è il Parallelogramma: una facoltà che nemmeno lui sa definire con precisione, ma che gli permette di intuire il modo di pensare delle persone e quindi di prevedere le loro mosse.
Entomo è un ragazzo che ha deciso di impegnarsi a suo modo per rendere il mondo migliore. Potrà sembrare buffo, ma non è il solo a farlo: esistono almeno 200 (duecento!) supereroi in tutto il mondo, i cosiddetti Real-life Superheroes, che si impegnano ogni giorno a vigilare e proteggere. Terrifica, ad esempio, pattuglia i locali e i club di New York proteggendo giovani donne, magari un po' brille, da avances pericolose o tentativi di violenza; Zetaman a sua volta aiuta i senzatetto e i bisognosi della sua città, Portland; a Iqaluit, in Canada, Polarman spazza la neve dai marciapiedi di giorno e pattuglia le strade di notte; Angle Grinder Man libera le auto londinesi dalle ganasce con la benedizione degli automobilisti; infine il caso più noto, Superbarrio, il supereroe messicano che lotta per i diritti dei più deboli e a cui è già stato eretto un monumento.
Sembra ancora buffo?
Guarda la pagina di Entomo su MySpace.com
E Chris Guardian? Ha il suo bel perché.

Mermaid, she wrote.

WELLINGTON (Nuova Zelanda) - Nadya Vessey ha subito l'amputazione di entrambe le gambe a causa di una grave malattia genetica. Nuotare, la sua grande passione, sembrava non poter essere più praticabile. Eppure Nadya non ha ceduto alla disperazione ed un giorno ha avuto l'idea giusta: contattare la società "Weta Workshop" di Wellington, che si occupa di effetti speciali cosmetici e protesici in ambito cinematografico, e che tra l'altro ha realizzato i costumi per il kolossal "Il Signore degli Anelli" e "King Kong". Agli esperti della Weta, Nadya ha chiesto di essere trasformata in sirena. 
La costruzione della protesi-tuta ha richiesto due anni di studi e lavoro, portato a compimento da un team di otto creativi nel poco tempo a loro disposizione tra un progetto e l’altro. La donna si è fatta carico solamente delle spese dei materiali. La protesi-coda è fabbricata prevalentemente con neoprene, ovvero tessuto da muta subacquea e stampi plastici, presenta in superficie un disegno a scaglie dipinto a mano. Lee Williams, creatrice dei costumi, voleva che Vessey "diventasse più bella possibile". E così è stato.
Ora Nadya può nuotare.
(fonte: Corriere della Sera, 26 febbraio 2009)

mercoledì 18 marzo 2009

Nomen Omen

"Davvero Tata avremo un bambino?"
"Sì Pino. E il suo nome sarà Osman."
عثمان Othman, Osman, Usman, Ozman è un nome maschile di origine araba, il cui significato è "prescelto da nobile e coraggiosa stirpe".
O di stupore, ogni volta lo stesso: mi presento e al contempo attendo che un qualche dissimulato moto di sorpresa traspaia nel volto di chi mi tende la mano, una momentanea esitazione, un fremito del sopracciglio o un luccichio dello sguardo. C'è chi prosegue indifferente, chi focalizza meglio lo sguardo prima distratto, chi capisce male, chi aggrotta la fronte e si lascia sfuggire un "Come?" in salire.

Sì mi chiamo proprio così e non ci sono ragioni particolari, se non quella valida per tutti: i miei genitori così decisero. Pare mia madre si fissasse sul nome dopo aver incontrato uno zingarello; pare i miei genitori avessero un amico musulmano prima di sposarsi. Pare: conservo ancora l'album dei miei primi dieci anni in cui mia madre inserì un ritaglio di giornale sulla storia di Osman I, imperatore degli Ottomani. Il dubbio tutto provenisse da lì l'ho avuto, lo ammetto. Quale che sia la verità, da più di trent'anni non faccio che parlare del mio nome e nove volte su dieci il perché io mi chiami in tal modo è stato l'argomento introduttivo a qualunque prima conversazione io abbia avuto. Perché quindi non fare lo stesso in un blog?
Molti anni fa credevo il mio fosse un nome come tanti altri, anzi nemmeno sapevo cosa fosse un nome: l'infanzia semplifica tutto e Osman ero io, punto. Poi arrivarono gli appelli mattutini della maestra e lì iniziai a intuire che qualche differenza c'era: per qualche oscura ragione ad esempio gli altri bambini riuscivano a scambiarsi buffi soprannomi, Leonardo TuttoLardo o Luca FacciadiMucca, mentre io ero solo Osman, senza rime; per lo stesso misterioso motivo la maestra concedeva ad alcuni bambini l'uso della prima consonante del cognome, Marco P e Marco S (a tre anni il concetto di omonimia è un po' vago), mentre io rimanevo sempre e solo Osman, senza fronzoli; più di tutto, gli altri bimbi festeggiavano con indifferenza il loro onomastico (alcuni anche più d'uno!), mentre io, senza santi in paradiso, mi ero convinto che il mio cadesse regolarmente di domenica o nei giorni di vacanza.


A questa prima fase di scoperta, ne seguì una ludica in cui smontai e rimontai il mio nome nei modi più strani: anagrammi, storpiature simpatiche o drammaticamente offensive, giochi di affinità affettiva, ricerche etimologiche e tutti quei giochi che credo chiunque abbia fatto nei lunghi pomeriggi della propria infanzia. Improvvisamente, durante uno di quei pomeriggi, ebbi una rivelazione: realizzai che per un curioso caso il nome Osman custodiva in cadenza ordinata le iniziali di tutti i miei nonni: Osvaldo, Maria, Antonio e Anna. Immediatamente mi convinsi che i miei avessero scelto il mio nome proprio per quel motivo: una sorta di congiura cosmica. Mia madre mi assicurò fosse un caso, ma in fondo non avrebbe potuto che negare l'evidenza davanti all'acume del figlio! Di sicuro quello era il capo di una trama nascosta, il bandolo di una matassa oscura: era evidente che in qualche modo avevo sollevato un lembo del quotidiano e intravisto un guizzo di incredibile. Sì, ero un bambino dalla fantasia molto fertile. E lo sono tuttora: fantasioso dico, bambino no, non più.
Nella mia testa quel guizzo è ancora ben vivo e mi sprona a pensare che un qualcosa di speciale ci sia. Non vorrei essere frainteso: non sono un cantastorie, o una persona in fuga da una realtà troppo difficile da sopportare, o uno con la testa fra le nuvole. Quello che mi affascina non ha nulla di irreale: anzi deve necessariamente far parte del quotidiano per suscitare il mio interesse ed avere al pari quel brillìo che attira la mia attenzione e che i più scelgono di non notare. Questo è il limen: non tanto il sogno, quanto l'inatteso; non la certezza, ma il dubbio.
Poiché l'incredibile è negli occhi di chi guarda.