lunedì 30 marzo 2009

Gatto Stregatto



"Vorresti dirmi, di grazia, quale strada prendere per uscire di qui?".
"Dipende soprattutto da dove vuoi andare" disse il Gatto.
"Non m'importa molto..." disse Alice.
"Allora non importa che strada prendi!" disse il Gatto.
"...purché arrivi in qualche posto!" aggiunse Alice a mo' di spiegazione.
"Ah! Per questo stai tranquilla" disse il Gatto, "basta che non ti fermi prima".


(Alice nel Paese delle Meraviglie - Lewis Carroll)


Mi sento come una bustina da thé in una tazza troppo grande: ciò che sono e che ho sempre ritenuto di essere qui è diluito, inconsistente, incerto. Qui, in questa città. O forse ora, a quest'età. O forse semplicemente a causa di tutto quel che mi è successo. Opzioni che tetramente coincidono con questo buio vicolo cieco che ho imboccato credendo fosse il Sentiero.

Appena arrivato era tutto nuovo, tutto meraviglioso. La bellezza dorata di maggio esaltava la mia scelta, scaldava il mio cuore ad ogni passo e mi prometteva la soddisfazione di un lavoro ben fatto. C'è chi reagisce ad un amore finito tagliandosi i capelli: io avevo reagito a tre lutti cambiando città, lavoro, vita. Doveva andar bene, avrei fatto di tutto perché funzionasse. Avrei iniziato la mia nuova esistenza a testa bassa, umilmente e avrei dato me stesso per migliorare ogni giorno, per crescere e diventare l'uomo che sognavo di essere, che, nonostante tutto, voglio ancora essere.

Poi iniziai a capire quanto questo mondo fosse ingannevole: le parole avevano un peso diverso, qui, leggero e sfuggente; le persone indossavano maschere opportune ad ogni situazione e avevano esse stesse dimenticato quale fosse il loro vero volto; le opportunità c'erano, ma seguivano regole cui non potevo accedere. Provai più volte, mi entusiasmai all'idea, incassai la delusione e mi rimisi in piedi. Una, due, tre, dieci volte. Per un amore, per un lavoro, per un'opportunità. Mi arenai. Nella storia e nello spirito.

Aspetto. Come l'atleta lascia riposare i muscoli tra uno sforzo e il successivo, così io ho esaurito il mio fuoco nel tentativo di riuscire: devo recuperare ciò che ho vanamente bruciato. E mi chiedo come: come esco da qui?



domenica 29 marzo 2009

We can be heroes.

NAPOLI (Italia) - Ancora Napoli, ancora eroi. Camminano sulle acque, resuscitano i morti, moltiplicano il cibo e trasformano l'acqua in vino: in più, accorrono in aiuto di chi li invoca, confortano, guariscono, proteggono dal male.

Sicuramente provocatoria, l'opera di Roxy Inthebox Pow! -ers è geniale: dribblando con intelligenza la banale accusa di arte dissacratoria (tra l'altro ipocrita perché l'adorazione di statue in gesso sarebbe idolatria), si coglie il testo sotteso: la divinità come superuomo - supra hominem - rivolto al bene.

E fateve 'na risata!

(opera esposta presso Emergecy Room - Palazzo delle Arti Napoli - dal 13/03 al 20/04 2009)

Daily Bugle

NAPOLI (Italia) - Da oggi il vandalismo ha un nemico in più: Entomo, l'Uomo Insetto, un nuovo supereroe in carne, ossa e calzamaglia. Entomo è un giovane di 31 anni che ha deciso di salvare il mondo dei napoletani dalla microcriminalità e dal degrado ambientale. Per attuare la sua missione Entomo perlustra le strade di Napoli sventando piccoli crimini o segnalando situazioni di degrado alle forze dell'ordine.
Il principale potere di Entomo è il Parallelogramma: una facoltà che nemmeno lui sa definire con precisione, ma che gli permette di intuire il modo di pensare delle persone e quindi di prevedere le loro mosse.
Entomo è un ragazzo che ha deciso di impegnarsi a suo modo per rendere il mondo migliore. Potrà sembrare buffo, ma non è il solo a farlo: esistono almeno 200 (duecento!) supereroi in tutto il mondo, i cosiddetti Real-life Superheroes, che si impegnano ogni giorno a vigilare e proteggere. Terrifica, ad esempio, pattuglia i locali e i club di New York proteggendo giovani donne, magari un po' brille, da avances pericolose o tentativi di violenza; Zetaman a sua volta aiuta i senzatetto e i bisognosi della sua città, Portland; a Iqaluit, in Canada, Polarman spazza la neve dai marciapiedi di giorno e pattuglia le strade di notte; Angle Grinder Man libera le auto londinesi dalle ganasce con la benedizione degli automobilisti; infine il caso più noto, Superbarrio, il supereroe messicano che lotta per i diritti dei più deboli e a cui è già stato eretto un monumento.
Sembra ancora buffo?
Guarda la pagina di Entomo su MySpace.com
E Chris Guardian? Ha il suo bel perché.

Mermaid, she wrote.

WELLINGTON (Nuova Zelanda) - Nadya Vessey ha subito l'amputazione di entrambe le gambe a causa di una grave malattia genetica. Nuotare, la sua grande passione, sembrava non poter essere più praticabile. Eppure Nadya non ha ceduto alla disperazione ed un giorno ha avuto l'idea giusta: contattare la società "Weta Workshop" di Wellington, che si occupa di effetti speciali cosmetici e protesici in ambito cinematografico, e che tra l'altro ha realizzato i costumi per il kolossal "Il Signore degli Anelli" e "King Kong". Agli esperti della Weta, Nadya ha chiesto di essere trasformata in sirena. 
La costruzione della protesi-tuta ha richiesto due anni di studi e lavoro, portato a compimento da un team di otto creativi nel poco tempo a loro disposizione tra un progetto e l’altro. La donna si è fatta carico solamente delle spese dei materiali. La protesi-coda è fabbricata prevalentemente con neoprene, ovvero tessuto da muta subacquea e stampi plastici, presenta in superficie un disegno a scaglie dipinto a mano. Lee Williams, creatrice dei costumi, voleva che Vessey "diventasse più bella possibile". E così è stato.
Ora Nadya può nuotare.
(fonte: Corriere della Sera, 26 febbraio 2009)

mercoledì 18 marzo 2009

Nomen Omen

"Davvero Tata avremo un bambino?"
"Sì Pino. E il suo nome sarà Osman."
عثمان Othman, Osman, Usman, Ozman è un nome maschile di origine araba, il cui significato è "prescelto da nobile e coraggiosa stirpe".
O di stupore, ogni volta lo stesso: mi presento e al contempo attendo che un qualche dissimulato moto di sorpresa traspaia nel volto di chi mi tende la mano, una momentanea esitazione, un fremito del sopracciglio o un luccichio dello sguardo. C'è chi prosegue indifferente, chi focalizza meglio lo sguardo prima distratto, chi capisce male, chi aggrotta la fronte e si lascia sfuggire un "Come?" in salire.

Sì mi chiamo proprio così e non ci sono ragioni particolari, se non quella valida per tutti: i miei genitori così decisero. Pare mia madre si fissasse sul nome dopo aver incontrato uno zingarello; pare i miei genitori avessero un amico musulmano prima di sposarsi. Pare: conservo ancora l'album dei miei primi dieci anni in cui mia madre inserì un ritaglio di giornale sulla storia di Osman I, imperatore degli Ottomani. Il dubbio tutto provenisse da lì l'ho avuto, lo ammetto. Quale che sia la verità, da più di trent'anni non faccio che parlare del mio nome e nove volte su dieci il perché io mi chiami in tal modo è stato l'argomento introduttivo a qualunque prima conversazione io abbia avuto. Perché quindi non fare lo stesso in un blog?
Molti anni fa credevo il mio fosse un nome come tanti altri, anzi nemmeno sapevo cosa fosse un nome: l'infanzia semplifica tutto e Osman ero io, punto. Poi arrivarono gli appelli mattutini della maestra e lì iniziai a intuire che qualche differenza c'era: per qualche oscura ragione ad esempio gli altri bambini riuscivano a scambiarsi buffi soprannomi, Leonardo TuttoLardo o Luca FacciadiMucca, mentre io ero solo Osman, senza rime; per lo stesso misterioso motivo la maestra concedeva ad alcuni bambini l'uso della prima consonante del cognome, Marco P e Marco S (a tre anni il concetto di omonimia è un po' vago), mentre io rimanevo sempre e solo Osman, senza fronzoli; più di tutto, gli altri bimbi festeggiavano con indifferenza il loro onomastico (alcuni anche più d'uno!), mentre io, senza santi in paradiso, mi ero convinto che il mio cadesse regolarmente di domenica o nei giorni di vacanza.


A questa prima fase di scoperta, ne seguì una ludica in cui smontai e rimontai il mio nome nei modi più strani: anagrammi, storpiature simpatiche o drammaticamente offensive, giochi di affinità affettiva, ricerche etimologiche e tutti quei giochi che credo chiunque abbia fatto nei lunghi pomeriggi della propria infanzia. Improvvisamente, durante uno di quei pomeriggi, ebbi una rivelazione: realizzai che per un curioso caso il nome Osman custodiva in cadenza ordinata le iniziali di tutti i miei nonni: Osvaldo, Maria, Antonio e Anna. Immediatamente mi convinsi che i miei avessero scelto il mio nome proprio per quel motivo: una sorta di congiura cosmica. Mia madre mi assicurò fosse un caso, ma in fondo non avrebbe potuto che negare l'evidenza davanti all'acume del figlio! Di sicuro quello era il capo di una trama nascosta, il bandolo di una matassa oscura: era evidente che in qualche modo avevo sollevato un lembo del quotidiano e intravisto un guizzo di incredibile. Sì, ero un bambino dalla fantasia molto fertile. E lo sono tuttora: fantasioso dico, bambino no, non più.
Nella mia testa quel guizzo è ancora ben vivo e mi sprona a pensare che un qualcosa di speciale ci sia. Non vorrei essere frainteso: non sono un cantastorie, o una persona in fuga da una realtà troppo difficile da sopportare, o uno con la testa fra le nuvole. Quello che mi affascina non ha nulla di irreale: anzi deve necessariamente far parte del quotidiano per suscitare il mio interesse ed avere al pari quel brillìo che attira la mia attenzione e che i più scelgono di non notare. Questo è il limen: non tanto il sogno, quanto l'inatteso; non la certezza, ma il dubbio.
Poiché l'incredibile è negli occhi di chi guarda.