mercoledì 22 settembre 2010

martedì 2 marzo 2010

In fondo al lago



Le vecchie in paese
narrano meste
di come il Marchese
morì per la peste.

La vedova affranta
pel dolore impazzì:
volle rimaner sola
il paese obbedì.

Era un giorno di Aprile
e soffiavan le brezze:
salì sul campanile
col vestito di nozze.

Di lì fece segno
le dighe di aprire:
lei e l'intero regno
dovevan sparire.

Cantò la Marchesa
il suo requiem finale
mentre l'acqua impietosa
inondava le sale.

Poi tutto fu pace
un lago silente
solamente una croce
su una tomba splendente.

Ancora oggi
nei giorni di vento
dal giovane lago
par giungere un canto.

Le vecchie lo sanno:
è il canto del lutto
attende il sagrato
ritorni all'asciutto.

(VENEZUELA - La chiesa di Potosì è riemersa dopo venticinque anni dal fondo di un lago artificiale. La valle era stata allagata a seguito della costruzione di una diga).

lunedì 1 marzo 2010

Vorrei incontrarmi tra cent'anni



Vorrei incontrarti fra cent' anni
tu pensa al mondo fra cent' anni
ritrovero' i tuoi occhi neri
tra milioni di occhi neri
saran belli piu' di ieri

(Vorrei incontrarti tra cent'anni - Ron)

"Lei come si vede fra cinque anni?".
Una domanda odiosa e ingannevole che popola la maggior parte dei colloqui di lavoro. Vista l'imperante precarietà di noi GGiovani, la risposta rasenta la visione mistica. Non è possibile ad oggi prevedere come saremo in futuro. E' possibile però ricordarci come eravamo in passato. Ad aiutarci in questo c'è Young Me/Now Me, un sito che raccoglie scatti specialissimi: due foto dello stesso soggetto scattate l'una vent'anni dopo l'altra. Un modo divertente, a volte crudele, per tirare le somme sui passi compiuti sinora.


domenica 28 febbraio 2010

Masters of the Universe


LOS ANGELES (USA) - Ogni generazione ha i suoi riferimenti culturali. I miei genitori amavano rievocare i fasti di Carosello o di Lascia o Raddoppia. Noi ragazzi trenta e qualcosa invece siamo cresciuti a pane e cartoni animati: e non c'è un solo maschio della mia età che non abbia visto in vita almeno una puntata di HE-MAN - Masters of the Universe.
La Gallery1988 ha recentemente dedicato ai Dominatori dell'Universo una mostra unica nel suo genere. Per la gioia di molti.

mercoledì 17 febbraio 2010

L'abitudine.

Odio la maionese.
Che sia fatta in casa o venduta in vasetti, poco importa: quell'emulsione giallina e unta ai miei occhi rimane e rimarrà sempre una salsa per autolesionisti.
Innanzitutto è grassa: si è calcolato che la percentuale di lipidi presenti nella maionese può variare da un minimo (!) del 70% ad un massimo del 85%. Questo significa che chiunque affermi di condurre uno stile di vita sano ha implicitamente escluso la maionese dalla propria esistenza: che si tratti di uno sportivo attento alla linea o di un salutista attento alle coronarie, quella salsa è ai primi posti nella lista delle cose da evitare.
In più, e peggio, è ipocrita: sì non ho confuso i termini. La maionese per definizione copre i sapori, confonde le papille gustative: perfetta per accompagnare piatti di carne o pesce, è in realtà un ottimo modo per celare ingredienti di bassa qualità ed errori di cottura.
La carne è un po' bruciata? Basta un po' di maionese e non si noterà!
Il pesce puzza? Basta un po' di maionese e non si sentirà!
Con la complicità di questa salsa il cibo insipido o avariato non viene riconosciuto e ci si alza da tavola con la convinzione di aver mangiato bene, tutto sommato. O peggio, si accetta con rassegnazione quel che viene servito e lo si ricopre di maionese per ovviare al disgusto.

L'abitudine è come la maionese: copre i sapori e fa malissimo al cuore.
Molte persone con cui mi sono confrontato hanno evocato il loro arrivo a Mailand usando più o meno la stessa espressione: "Ti capisco, anche per me i primi mesi a Milano sono stati terribili: poi però ci si abitua ed ora va meglio." No, non va meglio: la merda che mangiano è la stessa di sempre, solo ci hanno spalmato sopra un bello strato di abitudine e il boccone scende meglio. Scrivo questo cosciente del rischio di passare da autolesionista: perché voler continuare a rovinarsi il fegato per mantenere un fiero ostracismo a quella che in fondo è la mia nuova vita?
Rispondo: meglio rovinarsi il fegato che sputtanarsi il cuore.
Tutti ormai sono consapevoli di quello che c'è nel piatto e tutti sanno che accettarlo significa spegnersi lentamente, occludendo una a una le vene dell'essere e le aorte del sognare: questo è il vero autolesionismo.
Non accetto di abituarmi a questo grigio, né a questo giallo. Se il cibo è pessimo, voglio almeno alzare la mano e farlo presente allo chef.

E' ciò che può capitarti
Quando rimani a guardarti
Allineare i risvegli dentro albe meccaniche
Nell'amara litania delle solite cose ci si può morire sai
Nel conforto eutanasia delle solite cose ci si può finire….finire
Nell'amara litania delle solite cose ci si può morire sai
Nel conforto eutansia delle solite cose ci si può finire…finire
(Subsonica - Albe Meccaniche)


*Il Succhialimoni è una serpe in seno. E' tutto quello che penso e non vorrei dire. E' il Disprezzo che non so esprimere. E' acido, petulante, invidioso. Il Succhialimoni ha la pelle verde e i denti aguzzi. Ma, lo giuro, non sono io
.

venerdì 12 febbraio 2010

Il Sarto delle Meraviglie



Alexander McQueen, 40 anni, si è tolto la vita.
Questo è un piccolo omaggio ad un uomo
che ha fatto della Meraviglia il suo stile.




Onda verde


L'italiano Pietro Masturzo ha vinto il World Press Foto 2010. Masturzo era stato imprigionato in Iran poco prima delle elezioni dello scorso 24 giugno. Liberato e costretto a rinchiudersi in hotel per ragioni di sicurezza, Pietro ha ritratto a suo modo la protesta notturna delle donne iraniane contro la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad a capo del paese.

Pietro compirà a breve 30 anni.

martedì 12 gennaio 2010

Il soldatino di piombo





COPENAGHEN (Danimarca) - Durante la festa, organizzata dalla Regina Margherita e il Principe consorte, per i membri del Parlamento Danese, una delle guardie reali è svenuta. L'uomo è crollato a terra proprio mentre la famiglia Reale e i loro ospiti facevano il loro ingresso al Christiansborg Palace di Copenhagen.

venerdì 8 gennaio 2010

Istantanee. Mailand 1 - Roma 0

MILANO - Mainland ha tanti difetti. Troppi. Non si può sostenere tuttavia che la sua rete metropolitana non funzioni. Rispetto a quella romana, la metro milanese è più ramificata, più pulita, meno congestionata e, per ribadire ancora una volta il concetto che a Milano si lavora sul serio, è coperta in ogni suo punto - vetture stazioni tunnel rampe di accesso comprese - da segnale di telefonia mobile. Sì, a Milano si può utilizzare il proprio cellulare anche in metropolitana. Me cojoni.

Su uno di provincia come me, da sempre abituato a mezzi di trasporto pubblico di superficie, la metropolitana esercita un fascino arcano: muoversi nel sottosuolo senza percepire la città che scorre crea l'illusione di una sorta di teleporta rudimentale. Si scende in un punto, si emerge in un altro. Ciò che si stende nel mezzo ha poca importanza: non ha caso la mia conoscenza della città segue uno schema più a macchie di leopardo che a direttrici di traffico. Per queste ultime, considerando la certezza matematica di violare o infrangere zone e divieti se alla guida di un'auto, può valere per ora un onesto sticazzi.

La metro meneghina, quindi, si distingue per caratteristiche sue proprie e perché offre, più di quella romana, qualche piccola soddisfazione. A Roma viaggiano lavoratori e studenti, ma anche masse di turisti, manifestanti, pellegrini, militari, seguaci di partito, terroristi islamici, suore cattoliche e bambini spediti dai parenti: una corrente di persone frettolose che sfrecciano tra ali di gente smarrita e titubante. Nella borghese Milano questo non avviene: ci si sposta per lavoro, per studio, o magari per una passeggiata in centro il sabato pomeriggio. Raramente per cazzeggio. La gente ha una meta, a volte scritta in faccia, a volte sull'etichetta del cappotto. Capita quindi, rincasando più tardi del solito, o scegliendo orari inconsueti, di ritrovarsi da soli: soli a bordo, soli nelle stazioni, soli sulle banchine di attesa. E soprattutto soli davanti ad una scala mobile in attesa.

Non parlo di una scala mobile ferma o bloccata o out of work, ma di una scala mobile in attesa, cioé andata in stand-by perché da lungo tempo inutilizzata e pronta a rimettersi in movimento. Trovarsi di fronte a quella rampa immobile e ronzante regala quel particolare piacere che si prova nel tracciare la prima linea su un foglio intonso, o nel leggere per primo un quotidiano fresco di stampa o assaggiare la prima fetta di una torta appena sfornata.
Avvicinarsi indifferenti al nastro metallico in attesa, pregustare l'attimo, percepire il momento in cui si è riconosciuti dalla fotocellula, osservare il meccanismo ripartire e quasi invitarti a salire: un invito a te riservato in esclusiva. E' lo ius primae noctis dell'elevazione automatizzata.